di Tommaso Pucci

La prima volta che ho provato lo Stand Up Paddle (SUP) nel 2011 a Lanzarote in un giorno di mare piatto non immaginavo che dopo poco più di un anno mi sarei trovato a navigare su quelle stesse tavole nella mia città accompagnando turisti e fiorentini interessati a provare il SUP e vedere la città da una prospettiva diversa, e ancora meno avrei immaginato che quello sarebbe diventato il mio mestiere.

Lavoravo all’ospedale Meyer di Firenze e mi piaceva il mio lavoro, però una lite con l’allora direttore generale dell’ospedale e una serie di circostanze fortunate e casualità hanno dato una spinta. In poco tempo quella che era soltanto un’idea è diventata un lavoro che svolgo per circa sei mesi l’anno, da maggio a ottobre, facendo conoscere a tanti turisti e non, stranieri e italiani, Firenze e la Toscana dall’acqua. Accompagno con regolarità i miei ospiti sull’ Arno e insegno loro a navigare su tavole da SUP, che altro non sono che tavole da surf più voluminose su cui si rema in piedi. Qualche anno fa era sempre necessaria la spiegazione, perchè quasi nessuno in Italia conosceva il SUP, una disciplina nuova che sta a metà tra il surf e la canoa, spesso chiamato “la canoa in piedi”.

A Firenze, anno dopo anno, sono stati sempre di più i turisti e i fiorentini che ho accompagnato sul fiume, e ogni volta a primavera ho una gran voglia di ricominciare la nuova stagione. Soprattutto in anni come il 2020 o questo 2021, in cui la voglia di ripartire dopo un lungo e faticoso periodo è ancora di più. Ricordo benissimo l’anno scorso, il primo giorno dopo la fine del lungo lockdown, stare in mezzo al fiume ha significato riappropriarsi di Firenze, ricominciare a respirare e riprendere lentamente il rapporto con la mia città, interrotto in modo cosi brusco.

Mi piace l’idea di portare un qualcosa che da noi è nuovo ed esotico anche se ha radici antichissime, uno sport ma al tempo stesso una cultura, portandoli in un contesto completamente diverso, e mi piace attraversare la Firenze medicea remando sotto il Ponte Vecchio in piedi su una tavola originariamente utilizzata dalle popolazioni delle isole del pacifico, così da avvicinare due mondi lontani, socialmente e culturalmente molto diversi.

Condividere la bellezza di Firenze vista dal fiume, navigando con persone da tutto il mondo accompagnandole per due ore alla scoperta della città e dell’Arno è un onore per me. Forse perchè sono indigeno e innamorato di Firenze e della mia regione tutta ma nel mio lavoro trovo anche un senso di responsabilità che va oltre il voler essere professionale ed offrire un buon servizio, perchè quasi mi sento in dovere di far sentire a proprio agio i miei ospiti, fargli superare i primi minuti alla ricerca dell’equilibrio così da vivere appieno il fiume e la città in quelle due ore che passiamo insieme. E’ un po’ come se questi ospiti fossero a casa mia, mi piace che si sentano comodi e possano godere dell’esperienza.

Non sono una guida turistica e non sto a raccontare molto della storia di Firenze o dei monumenti che vediamo navigando, magari ai miei ospiti racconto qualche aneddoto sulla città o qualche storia sui ponti che attraversiamo, gli parlo delle mie origini siciliane nonostante il cognome molto fiorentino e di un mio avo cacciato dalla corte dei Medici ed esiliato in Sicilia per “indisciplina”, oppure è facile che gli racconti di quanto è bella la Toscana vista dall’acqua, navigando su una tavola sui fiumi, sui laghi e su tutta la costa. Stare a contatto con le persone è una parte importante del mio lavoro e una delle cose che più mi apprezzo, ti trovi davanti a persone di ogni tipo ma c’è sempre uno scambio, mi è capitato anche di parlare per un paio d’ore piacevolmente con un cliente americano che alla fine ho scoperto essere un fanatico sostenitore di Donald Trump. E mentre navighiamo al tramonto sotto i ponti di Firenze, nonostante ormai sia diventata una routine, per me è un’emozione che si rinnova ogni volta attraverso lo stupore delle persone che accompagno, siano turisti o fiorentini.

Capita che in quelle due ore si parli del più e del meno, o del viaggio in Italia che stanno facendo ma capita anche che quasi confidandosi ti raccontino le loro esperienze, la loro vita. Un paio di anni fa una turista americana durante un giro sul fiume, in un bel tramonto di luglio, si aprì in racconti molto personali sulla sua vita concludendo che quel momento passato sul fiume era uno dei pochissimi momenti di “quiete” di cui avesse ricordo in seguito alla perdita di un figlio adolescente.

Un paio di volte mi sono trovato nel mezzo di una richiesta di matrimonio, un turista inglese ed uno australiano che hanno deciso di chiedere con un anello la mano della propria compagna a Firenze, in mezzo all’Arno, in equilibrio su una tavola da SUP con le ginocchia tremanti per l’emozione del momento ed il rischio di cadere in acqua loro e l’anello. Episodi come questo riempiono il mio lavoro di un significato preciso, lontano dal vedere il turista solo come un portafoglio a cui dai un servizio, prendi i soldi e arrivederci. Cerco in quelle due ore di creare comunque una connessione umana e con la città. E’ per questo che sono contento e trovo il senso del mio lavoro ogni volta che alla fine di un giro in Arno, salutando i miei ospiti, mi accorgo che quell’esperienza resterà nei ricordi di quelle persone e in qualche modo si è creato o rafforzato un legame con Firenze.

Mi ritrovo spesso a pensare che il mio lavoro sia facilitato dal contesto, dalla tranquillità del fiume e dalla bellezza di Firenze (i tramonti di giugno dall’Arno sono sempre meravigliosi), dalla pratica di un’attività rilassante e all’aria aperta in una dimensione che ben dispone i miei ospiti ma aiuta moltissimo anche me.

Infine, nonostante il lavoro con i clienti si concentri nei sei mesi di bella stagione, nel periodo più freddo, di bassa stagione, c’è una parte di lavoro più intimo e in solitudine, un lavoro di ricerca, un’esplorazione insieme a qualche collega o amici e un bellissimo vagabondare alla scoperta del territorio muovendosi lentamente per i sopralluoghi sui nuovi percorsi. Queste attività rendono comunque sempre nuovo il mio lavoro, mi permettono di continuare a scoprire luoghi di Firenze e della Toscana sconosciuti anche per me e di testare nuove attività senza dover pensare ai clienti. Come ho scritto è una parte più intima che bilancia il periodo estivo in cui ogni giorno si è a contatto con tantissime persone, bello ma anche stancante fisicamente e mentalmente.

A volte qualcuno mi dice che il mio non è un lavoro, ma è un divertimento, so bene che non è esattamente cosi, certamente mi diverto ma a volte è molto faticoso e come tutti i lavori ha degli aspetti routinari e noiosi, però è certamente un lavoro che faccio con grande soddisfazione.

Dunque, se dovessi spiegare in tre righe il mio lavoro lo scriverei così: in questi quasi dieci anni ho accompagnato qualche migliaio di persone di tuttto il mondo in giro per la Toscana su una tavola da SUP, cercando di farli appassionare a questi bellissimo sport facendogli conoscere angoli più o meno nascosti di questa regione che anche io non finisco mai di scoprire del tutto. Vale la pena, e forse lo farei anche se non avessi necessità di lavorare.