di Lisa Parrini

Il Covid mi ha tolto l’olfatto, ma non la memoria degli odori della mia infanzia.
Per un decennio, da metà anni ’70, per tre volte a settimana prendevo con mio nonno l’autobus n. 1 che da casa ci portava in piazza Antinori, all’inizio di Via Tornabuoni, e da lì ci si incamminava verso Via Maggio, dove si trovava la mia scuola di danza classica. Metodo Inglese. Rigorosissima.

Durante il tragitto si alternavano, per tutto l’anno, due fermate obbligatorie: il Procacci e Giacosa.

Ma non il Procacci di ora, rifatto in stile standard-chic! Allora il negozio era chic davvero, perché la sua veste originaria senza fronzoli ti permetteva di concentrarti sull’intenso profumo di tartufo che si
diffondeva per strada, subito fuori dalla porta a vetri, non appena la si apriva.

Il panino, piccolo e profumatissimo, era per mio nonno un irrinunciabile piacere e per me, allora ancora troppo piccola per apprezzare, un tassello nel crescendo di esperienze olfattive, che ancora oggi mi accompagna e mi rassicura.

Da Giacosa il profumo delle sfoglie calde di crema e dei marrons glacés in autunno mi accompagnava spensierata verso l’inverno; anche se poi finivo sempre col prendere il profiterole monoporzione nella ciotolina di alluminio.

Finita la lezione di danza arrivava però il bello quello vero. Mi veniva solitamente a prendere Nanni, in vespa. Classe 1929, era cresciuto fra via Sguazza e via Maggio, negli anni della guerra e del dopoguerra (fu sfollato a Palazzo Pitti). I mobili antichi li aveva negli occhi, nella testa e nel cuore ed i suoi amici eran tutti lì fra piazza S. Spirito e Piazza Pitti.

I profumi che in quegli anni si diffondevano in via Maggio e nei vicoli limitrofi ce li ho lì, all’attaccatura del naso, appiccicati alle cellule neuronali dell’olfatto.

Il Cipriani intagliava il legno. Delle cornici di specchiere e dipinti che erano opere d’arte. L’odore di legno intagliato e colla arrivava fino dall’altra parte della strada, ma si distingueva bene dal profumo dei mobili antichi che fuoriusciva dai negozi dell’Arrostiti, dei Mazzoni, del Botticelli e dei tanti antiquari che allora abitavano la strada.

Quando le giornate erano un pochino più lunghe, Nanni, con me sul vespone, si fermava dal trippaio al Porcellino, che l’odore di brodo lo sentivi da trecento metri!

Il Porcellino, luogo per me magico, dove c’erano ancora i banchi che vendevano la paglia, quella dei cappelli fatti qui da noi. Bellissimi.

E l’odore della paglia del cappello da “Primavera”, che Nanni mi prese da un suo amico artigiano, sta anche là, pigiato nelle cellule dell’olfatto, che resiste in mezzo a tutte le altre decine e decine di odori che mi scaldano il cuore.