di Elisa Giovannini

La mia nonna Dina, Angiolina all’anagrafe, ha sempre fatto un pessimo sugo di carne.

Era una brava cuoca per carità, ma il sugo proprio non le scatenava nessun tipo di sentimento.

Era probabilmente l’unica nonna mugellana, vissuta a Firenze, a non saper fare il sugo di carne (non Ragù mi raccomando).

La carne si sa è sempre costata cara e allora nel pensiero di mia nonna, usare un bel pezzo di magro per farci il sugo era uno spreco, un affronto a quella tirchieria che rivestita dal ricordo di quando la carne non c’era proprio, diventava più elegantemente parsimonia.

Se poi carne doveva essere, che si mettesse una bella bistecca sulla brace!

Il principe dei nostri pranzi domenicali dunque era questo sugo finto, il cui solo nome mi riporta alla mente effluvi che salgono prepotenti le scale di pietra della nostra casa mugellana: la cipolla, rossa, che ti prende a schiaffi mentre sei sotto le coperte e gli “odori” sedano, carota, poco prezzemolo, rigorosamente dell’orto e comunque non a pago, perchè si sa, pagare gli odori al mercato è pura eresia.

Niente carne, unica omissione rispetto alla ricetta canonica, ma incredibilmente il gusto era quasi lo stesso ed anzi si caricava di sfumature ancora più schiette.

Tutto tritato pazientemente a mezzaluna, sul tagliere scavato dal movimento costante della lama.

E poi un gran sfrigolio di olio buono nel tegame di alluminio col fondo pericolosamente bombato dal troppo uso, schizzi ovunque, gli ammonimenti  mai ascoltati del nonno Memmo:

“Dina, attenta con l’olio, tù ti bruci!”. E lei si bruciava, quasi sempre, ma “tanto oh! Una volta più una meno!”.

Pazientemente mia nonna rosolava gli odori, li spegneva con un bicchiere di Chianti e poi i pelati passati direttamente sulla pentola.

Dopo un po, mi risolvevo a scendere, in pigiama.

Trovavo mia nonna ancora intenta a girare nella pentola, mio nonno vicino al tagliere con la spoglia tirata: mi aspettava sempre per chiedermi quanto larga avrebbe dovuto essere la pasta, tagliatelline, tagliatelle, o nastroni sperando in questi ultimi perchè erano i miei ed I suoi preferiti.

E poi era il momento della battuta, sempre immancabilmente la solita e lui già se la rideva, come quando non riesci a trattenere la frase finale di una barzelletta.

Ed io immancabilmente gliela servivo: “Nonna, ma il sugo?” e lui a bomba: “Il Sugo non c’è: l’è Scappato!”