di Dino Secchi

I legami più veri e importanti non sono necessariamente di sangue, anzi spesso nel nostro percorso di vita facciamo incontri che la vita ce la cambiano per sempre.
In questo caso il legame con il sangue è quanto mai vero e ne deriva una ricetta speciale, unica: quella dei roventini o migliacci.

Approfittando di un raggio di sole, ho preso la mia bici e son partito per un giretto. Mentre pedalo penso, elaboro, analizzo, credo spesso anche di pensare ad alta voce..

Pensavo alla cena di ieri sera e pensavo ai miei roventini.

Ieri mattina al mercato ero finalmente entrato in possesso del sangue di maiale che avevo portato a casa come fosse una preziosa reliquia.

Il sangue è  difficile da trovare a giro e si trova solo fra gennaio e febbraio.
Avevo in questi giorni ripassato mentalmente la ricetta che il “Bersagliere” mi aveva raccontato con le omissioni di rito, l’ultima volta che li comprai da lui.

” La ricetta dei roventini non è fatta da ingredienti, ma da tentativi, piccoli aggiustamenti, bisogna avere la mano e l’esperienza, il sangue ha un sapore forte, unico e lo devi trattare con decisione, ma senza strafare. Io ci metto poca farina e una pappa di pane cotta in un soffritto di aglio, olio, ramerino, sale e pepe.Poi il sangue va speziato, ma come non te lo dico, quello è un segreto…Le spezie vanno dosate, ne troppo, ne poco. Come li facciamo a Campi non li fa nessuno, a Firenze ci mettono più farina e senza pappa e li mangiano con il parmigiano, a Prato li fanno grandi e meno saporiti, qualcuno ci mette le uova, lo zucchero, vengono da tutte le parti per assaggiarli da noi e chi lo fa ci ritorna di sicuro! “.

Così ieri sera, mi sono trovato a mescolare questi ingredienti, insieme ai miei pensieri, ai ricordi, alle aspettative.

Mi veniva in mente quando usavo i soldi che la mamma mi dava per comprare la merenda a scuola alle medie e con quelli invece ci compravo all’uscita, il panino dal “Fantino” o dal “Bersagliere” prima di rincasare, la mamma non ha mai saputo niente..

Il Bersagliere

 

Negli anni 80 ancora Campi era il paese delle botteghe, e dei soprannomi.

 

Il Fantino e la sua gelateria sopraffina, Nacchinello e la sua drogheria dove i profumi del caffè e delle spezie ti facevano girare la testa, il Biondino e la sua pastafrolla inimitabile, il Codino, il Fuma, evvia evvia.

Camminare nel centro di Campi era bello. Campi allora aveva l’ identità precisa delle persone che nelle botteghe socializzavano e facevano comunità.La mappa di Campi era una costellazione di Bar che segnavano le compagnie e i gruppi. Era un paese vivo.
Eravamo orgogliosi del nostro territorio, di quel paese satellite a Firenze che di Firenze era come un figlio legato al padre, ma allontanatosi da un padre ingombrante deciso a vivere la sua vita lontano dal tetto paterno, con rispetto, ma indipendenza.
Mi fa quasi rabbia vedere la Campi di oggi dove vecchie conoscenze si salutano frettolosamente all’Esselunga, alla Coop, ai Gigli e in tutti i centri commerciali che hanno ormai sostituito la vecchia costellazione dei bar e delle botteghe.

Pedalavo e pensavo al babbo che amava i roventini e a volte li preparavamo in casa di sabato con l’impasto del Bersagliere, si era attrezzato e aveva modificato una forchetta allargandone i rebbi per girare meglio il roventino in cottura: lui mi ha trasmesso la passione per questa strana e scura frittella.

Quando sei piccolo e vedi tuo padre che prepara in cucina con quella cura, lui che di solito all’ora puntuale si metteva a tavola e aspettava di essere servito e invece lo vedi che porta in tavola questa delizia, prima ancora di assaggiarla sei rapito dalle parole, gli odori, il tono di voce, capisci e percepisci che se riuscirà a piacerti come al tuo babbo in qualche modo lo farai felice.. Il babbo non aveva un carattere facile e non esternava facilmente i sentimenti, quindi in questi momenti sembrava vulnerabile più vicino e quindi andavano sfruttati per cercare di capirlo. Sono sempre andato pazzo per i roventini..

Pensavo che questa ricetta non viene praticamente più fatta in pubblico. Troppi controlli, troppo complicato conservare il sangue, praticamente i protocolli ASL sono incompatibili con il commercio del sangue.

Il Bersagliere ha continuato con un furgoncino al mercato il sabato mattina e da poche altre parti, poi dallo scorso anno ha smesso anche con quello.
Se penso che storia ha questa ricetta mi viene il magone.

Il roventino è nato come un piatto povero nel 900, gli allora padroni o ricchi proprietari terrieri tenevano per se il meglio della carne degli animali, il famoso quarto quinto della bestia veniva venduto alla popolazione meno abbiente e povera, il sangue faceva parte insieme al lampredotto, alla trippa, le interiora e le frattaglie di queste carni allora meno pregiate, ma che grazie alla necessita di sfamare le famiglie,la conoscenza delle materie prime e l’esperienza, con il tempo sono diventate prelibatezze e piatti tipici della nostra zona.

Questo sangue inizialmente impastato con pane duro e farina e cotto nel lardo di maiale divenne il roventino.

Pensavo a quello che si perde quando una ricetta non può  più  essere riprodotta, a quanto di noi se ne può andare con lei.

Mi vengono in mente gli adulti che in bottega parlavano di calcio, di politica, di corse dei cavalli o di altro, che mi offrivano un bicchiere di vino a me ragazzetto, perché  il migliaccio non si beve con l’acqua ma con il vino, dicevano.

Questo è  tessuto cittadino e intorno ai ricordi, ai sapori alle facce delle persone si costruiscono le comunità e il loro futuro.
Mentre riponevo la mia bicicletta, pensavo che erano venuti speciali i miei roventini, il primo che avevo assaggiato mi aveva commosso, speravo di ritrovare tante cose in quell’assaggio e sentirlo sciogliere in bocca è stato emozionante. Ero riuscito a tenere in vita quel sapore..

Oltre a tutte le considerazioni fatte avevo la percezione che non tutto andrà perduto se ancora qualcuno porterà ai più giovani questa ricetta come una fiaccola olimpica da non spengere mai..