di Lorenzo Salsi

Ogni tanto con la mamma si partiva, magari quando non c’era scuola o più spesso nel periodo in cui
andavo all’asilo, e si andava a comprar scampoli di stoffa per farci camicie, alla famiglia, a parenti e
amici nonché ai clienti abituali che si fidavano ciecamente dei gusti classici della mamma.

Il tragitto era sempre il medesimo: Via Datini, fermata dell’autobus 23 fino a Piazza del Duomo o a Via Panzani, secondo le giornate. La fermata di Via Panzani era la più vicina perché il negozio di scampoli e stoffe era proprio sull’angolo opposto in Via de’ Pecori, nel palazzo dell’Arcivescovado di fronte al Battistero, che con le sue belle porte in bronzo mi affascinava sempre.

Il negozio si chiamava semplicemente: Bianzino.

Dunque due opzioni per scendere dal tram, in effetti avevano il suo perché: se si scendeva alla fermata
d’angolo con Via Ricasoli si attraversava Piazza San Giovanni in diagonale e si arrivava da Bianzino in
un attimo, ma era un po’ più lunga e non molto interessante; se la discesa era in Via Panzani il tragitto
prevedeva un mirabile passaggio davanti alla pasticceria Scudieri, una delle migliori della città, dove alla mamma e al figlio veniva un principio di soffocamento per eccesso di saliva prodotta dalla visione delle vetrine, che erano piene di piramidi di cioccolato, caramelle, pasticcini e quanto di più goloso si potesse pensare.

Pasticceria Scudieri dal 1939

La mamma era un’infaticabile divoratrice di tutto ciò che poteva contenere zucchero e seguiva le due o
tre, ma forse erano di più, vetrine della pasticceria con crescente cupidigia, facendo finta di niente; poi
con nonchalance mi chiedeva se avevo sete o se per caso mi fosse venuta un po’ di fame, domande
cariche di aspettative che attendevano con speranza una mia risposta affermativa, che non tardava,
ferma e sicura, perché come dice un vecchio adagio le querce non fanno i limoni.

Risultato finale di tutta questa manfrina:un dito alla crema (detto anche cannolo, ma non a Firenze) a
me e un bigné a lei, una spumina a me credo da 25 lire e un cappuccino a lei…

 

 

 

Finita questa goduria si usciva e, fatti 20 metri, si entrava da Bianzino.

Piazza San Giovanni allora era molto trafficata, passava tutto di là, dal cuore di Firenze, quindi autobus,
filovia, macchine, lambrette, barrocci, biciclette, gente insomma, venditori di mais per turisti e piccioni.

Su un lato c’era anche il punto di sosta, mi pare alla Loggia del Bigallo, per i fiaccherai con le loro
carrozzelle e i cavalli, che in certi casi da come erano vecchi non si capiva se erano loro che tiravano le
carrozzelle o erano le carrozzelle che spingevano i cavalli.

La piazza era il fulcro della vita cittadina,quindi sempre piuttosto rumorosa e brulicante.

Entrati nel negozio di scampoli tutti i rumori erano attutiti, anzi a volte c’era un silenzio irreale dovuto alla
quantità di rotoli di stoffe che dal pavimento arrivavano fino al soffitto e seguivano tutti i muri perimetrali.
Stoffe di tutti i tipi, lane pesanti per fare cappotti, leggere per gonne e pantaloni, cotoni per camicie e
camicette da donna, lini per far vestiti da uomo, ghinee per lenzuoli: insomma quello che poteva servire a confezionare, abiti e non, lì c’era.
Il reparto che riguardava tessuti per camicie era vastissimo, coloratissimo, con una scelta di tessuti
incredibile e la mamma li conosceva tutti. Ricordo quelli che mi piacevano più di tutti erano l’oxford e
l’oxford martellato di colore rosa, un bel rosa molto maschile, morbidissimo al tatto e profumatissimo di buono, di nuovo e di pulito. Pensandoci adesso, ho sempre avuto una camicia a maniche lunghe con i bottoncini al collo e il cannoncino sulla schiena, di color rosa.

Tutti i commessi conoscevano la mamma ed erano veramente molto gentili e premurosi: se la mamma
era indecisa le mostravano diverse pezze prendendole dagli scaffali e srotolandole per due o tre metri. I banconi su cui venivano poggiate le pezze erano in legno massello di un colore caldo, sempre profumati di cera per mobili; anche i metri che usavano erano in legno con le punte rinforzate in ottone, mi piacevano da impazzire.

Silenzio e profumo erano le caratteristiche di quel negozio, e il profumo era dato come ho detto dalle
stoffe, dal legno e dai prodotti per tenerlo pulito, ma anche dai dopobarba dei commessi, sempre
inappuntabili e ben vestiti anche se a volte indossavano una gabbanella grigia.
Fra silenzio e odori quasi ti veniva fatto di parlar sotto voce.

In tante volte che la mamma mi portò mai sentii rumori molesti o fuori posto. Il rumore più classico era la pezza che, srotolata dal commesso, dava un tonfo morbido e quasi rassicurante sul bancone: e come erano bravi i commessi ad aprire la pezza, con un colpo di mano e polso ben assestato facevano roteare in aria lo scampolo, avvolto quasi sempre su un’anima di cartone schiacciata o, ora i ricordi si confondono, ma mi pare che queste anime rigide fossero anche in legno, altri tipi di stoffa erano arrotolati per lo più su tubi di cartone ben rigido.

Dicevo dello scampolo fatto volare che poi poggiavano sul bancone, lo misuravano, lo tagliavano e lo
impacchettavano in una carta azzurrognola a quadrettini piccolissimi col logo Bianzino e lo
consegnavano al cliente: parevano giocolieri agili, veloci e appassionati.

Avuto il pacchetto si andava alla porta ed appena la si apriva per uscire il mondo esterno si presentava
immediatamente con il suo rumore ed il suo odore, i cavalli dei fiaccherai avevano la parte da
protagonisti per gli effluvi, vista la copiosa quantità di prodotti intestinali, ogni tanto uno spazzino
appariva col suo barroccio a due o un bidone, la scopa e la pala per raccogliere le fatte degli equini.
Girando intorno al Battistero e al Duomo si arrivava al Canto de’ Bischeri e da lì in Via del Proconsolo
per la fermata dell’autobus, in realtà ce n’erano due prima, una alla Misericordia ed un’altra dopo 150
metri, ma la mamma preferiva far “du’ passi per guardare il Duomo “ anche da dietro” diceva.